La didattica laboratoriale per formare i nuovi professionisti della musica
Qual è la vera differenza tra un professionista e un appassionato?
Non suoniamo tutti uno strumento musicale ma quasi tutti possediamo uno smartphone con fotocamera integrata e scattiamo decine di foto ogni giorno.
Che cosa ci rende differenti dai fotografi professionisti?
Il professionista ha una dotazione fotografica migliore del fotoamatore?
Non sempre, anzi ho conosciuto appassionati con corredi fotografici di tutto rispetto.
Il professionista ricava un utile dalla propria attività?
Sarebbe auspicabile, ma avrei difficoltà a identificare negli utili l’unico parametro per valutare il valore artistico delle immagine prodotte
Ritengo piuttosto che la vera differenza sia da ricercare nella qualità del lavoro svolto e nella capacità di raggiungere gli obiettivi preposti in un tempo stabilito.
Quello che intendo spiegare è che capita a tutti di scattare una bella fotografia con il proprio cellulare, ma se andassimo a sfogliare la nostra raccolta di foto digitali di un anno intero, quante di queste sarebbero all’altezza di essere esposte al pubblico? Forse una, due su mille al massimo, con un po’ di fortuna.
La fortuna non è certo un requisito su cui un professionista può fare affidamento. Lavorare per dei committenti significa avere la capacità di produrre immagini all’altezza delle aspettative, in un tempo congruo al progetto da realizzare. Non è un requisito neanche il “talento”, si tratta piuttosto di una brutta parola con la quale si giustifica chi dice di non averlo.
Sicuramente è più utile lo studio, la pratica e l’esperienza che, a differenza di quanto accade a noi, consentono all’artista di scartare pochissime immagini tra quelle scattate.
Il concetto è trasferibile in campo musicale, ma anche in tutti gli altri campi del sapere teorico e pratico. Suonare nella propria cameretta per anni, così come scattare migliaia di foto, non fornisce alcuna garanzia di successo. Non è sufficiente studiare per ore la teoria, i passi orchestrali o eseguire quotidianamente gli esercizi, è invece indispensabile suonare, comporre e progettare performance in contesti reali.
L’esperienza laboratoriale che progetto quotidianamente per i miei studenti come docente di Elettroacustica al Conservatorio di Perugia è basata proprio su questa presa di coscienza. L’appropriazione delle conoscenze e il loro utilizzo sono momenti che non dovrebbero mai essere separati tra loro, perché le competenze sono sempre situate in specifici contesti d’uso, non sono mai astratte o generali.
Nelle università, invece, il grande numero di iscritti determina spesso l’impossibilità di attuare metodologie didattiche differenti dalla lezione teorica frontale, seguita da uno studio mnemonico sui manuali. Dobbiamo però prendere atto del fatto che questo allontanamento dalla realtà richiede agli studenti enormi sforzi di astrazione non sempre utili alla loro formazione. I ragazzi spesso si ritrovano a studiare ipotizzando mondi immaginari nella speranza che questi, in futuro, somiglino il più possibile ai contesti reali in cui dovranno operare.
Nei corsi di musica elettroacustica a Perugia e in tanti altri corsi tenuti nei conservatori italiani, la pratica laboratoriale e la performance in contesti reali non è un moderno espediente didattico, ma una pratica consolidata. Suonare davanti a un pubblico o presentare una installazione multimediale è efficace perché si annulla la separazione tra teoria e pratica, ed è divertente perché gli studenti a differenza dei professionisti sono autorizzati a commettere errori. Ovviamente le difficoltà dovranno poi essere analizzate con la guida del Maestro, fino a trovare le strategie più efficaci per ridurle.
Per questo motivo esprimo tutto il mio disprezzo per le locandine dei concerti che riportano come esecutori “gli studenti del conservatorio” e sorrido invece con approvazione quando affianco allo strumento musicale leggo il nome proprio di un musicista, riconoscendolo magari tra gli iscritti a un mio corso. In quel momento lo studente si sta mettendo alla prova in un contesto professionale reale, l’appellativo di studente è del tutto superfluo.
La preparazione di una performance è un momento bellissimo, si tratta di un contesto di ricerca che coinvolge docente e studenti e che accomuna i conservatori alle università più di quanto qualsiasi riforma del settore AFAM sia riuscita a fare.
Sono abituato a discutere con i colleghi di che cosa si potrebbe migliorare nei conservatori, di come il binario parallelo al settore universitario non si debba ridurre all’equipollenza dei titoli rilasciati o alla suddivisione dei percorsi in trienni e bienni. Finalmente ho invece avuto il piacere di raccontare una peculiarità che appartiene agli studi dell’alta formazione musicale e che alcuni dipartimenti universitari stanno perdendo e faticano a recuperare, forse perché vittime di impedimenti economici ma anche a causa delle resistenze culturali e delle comode ma cattive abitudini.